Giovanni Papini
Un uomo finito
Firenze, Libreria della Voce, 1914
Volume in 8° (20 x 14); pagine (8), 303, (1); seconda edizione, di un anno posteriore alla prima. Brossura editoriale gialla, titoli stampati in nero alla copertina e al dorso. Fioriture e ingialliture consuete dovute alla carta, è copia buona.
L’opera è un’autobiografia scritta da un giovane Papini (appena trentenne) e diventerà uno tra i libri più significativi del 900 italiano. In una lettera all’amico pittore Ardengo Soffici lo stesso Papini scriveva, a proposito del libro: «Ho cominciato ieri una specie di romanzo tratto dalla mia vita, e sento d’esser così pieno di cose e di ricordi poetici che verrà certo una bella cosa». Papini si definisce uno spirito «nato con la malattia della grandezza». Nelle parole dello stesso autore: «Qui dentro c’è un uomo disposto a vender cara la sua pelle e che vuol finire più tardi che sia possibile». Il libro è diviso in sei movimenti e 50 capitoli. Dopo aver rievocato l’infanzia e la formazione, vi vengono ricordate l’amicizia con Giuseppe Prezzolini e l’avventura della rivista “Leonardo”, le riunioni intellettuali a casa di Adolfo De Carolis e in una stanzetta di Palazzo Davanzati. In quest’opera è stato individuato l’inizio di quel percorso che lo avrebbe portato alla conversione al cattolicesimo, primo passo di un percorso esistenziale che si apre con Un uomo finito e si chiude con Storia di Cristo. Il romanzo ebbe successo tra i giovani degli anni ’20 e anni ’30. Nel corso degli anni l’opera è stata tradotta in varie lingue, tra le quali il russo, il tedesco, l’inglese, il francese, il romeno e il turco. Tra gli altri, il giovane Mircea Eliade fu profondamente impressionato dal testo di Papini, e ad esso dedicò un capitolo del romanzo giovanile pubblicato postumo: Il romanzo dell’adolescente miope